Ad una rassegna al Palazzo delle Esposizioni di Faenza, ebbi occasione di discutere sull'aspetto ludico delle ceramiche di Ugo Nespolo, che, in modi giocosamente sperimentali, esibiva una serie simpaticissima di "scherzi" maiolicati che ricordavano sia la Pop che le superfici piatte ma in esubero di elementi, alcune ricorrenze picassiane ma, non è vana ripetizione, soprattutto Nespolo ed il suo mondo apparentemente di superficie. Sì, ho detto superficie. Il termine, sia detto per quella costante realistica che ama le tinte forti dei soggetti interiorizzati e dall'ombelicale e sofferto dolore, non ha valenze etiche; non vuol dire, cioè, superficiale, puramente decorativo, ornamentale, ecc.. L'equivoco ci condanna da sempre. Per lo meno da quando, separando di netto tutte le accentuazioni floreali, geometriche e di arsi e tesi del puro ritmo goduto in quanto tale, certa tradizione occidentale (ed europea in particolare) ha ritenuto degna d'attenzione la speculante, pur drammaticamente informale, tra la vita e il suo rivissuto espressivo. È nella scia dell'officina di Nespolo, Adami, Tadini e del Pozzati "lirico" delle stesure fine anni Sessanta che Silvio espose presso Palazzo dei Diamanti i suoi, di "tasselli". È bene giustificare la titolazione della mostra a Casa Cini, perché uno slogan, fosse pure sintetizzato in una sola parola, può paralizzare il cervello e compiere inclusioni forzate e dal facile richiamo pubblicistico. Propriamente, tassello si dice del piccolo pezzo di legno, pietra o ceramica che viene inserito in una struttura allo scopo di riparare una parte danneggiata, turare una falla, rimediare a un'imperfezione o, e questo ci interessa più da vicino, come ornamento. Allora: si può, estensivamente e vanificando il senso di colpa dal giudizio dei filologi della Crusca, affermare che tasselli sono i singoli inserimenti che entrano a far parte di un tutto pur mantenendo una loro autonomia. Sia chiaro: l'autonomia non è assoluta ma relativa alla forma o predisposta o che viene a chiarirsi - mi si scusi la ripetizione - di tassello in tassello, quando il campo visivo esige rapporti, equilibri, ripetizioni come cadenze costanti. Quello che solitamente chiamiamo "soggetto" o "tema" può indubbiamente essere l'origine dell'opera, ma rischia di trarci in inganno quando intenda appropriarsi golosamente di tutte le possibilità di "lettura". È mia netta convinzione che Natali ami la superficie nel senso nobile precedentemente esposto: anche un "tema" tragico o di forte richiamo sia ai miti che all'attualità, viene come filtrato, sommessamente reso inoggettivo, esplicitamente esposto in primo piano (ed è primo piano, come in Gentile da Fabriano o Benozzo Gozzoli, anche quando occupa la seconda o terza "fila" dei tasselli), per sconvolgere il senso di profondità di campo ed ogni evocativa lontananza spaziale. Tutti i tasselli sono in superficie, anche quando attraversano o subiscono grovigli, o apparenti nodi d'impaccio. La mostra va gustata così, seguendo, cioè, la sequenza delle superfici e l'horror vacui del non lasciare neppure un frammento al caso o alla dispersione. È, in altri termini, una poetica dell'anti-Mondrian e delle pause di respiro care alla Bauhaus. In questo sta la sua godibilità e, come afferma Elisabetta Pozzetti, la narrazione, la fabula che vuol farsi tragica e, forse, lo è proprio in forza dell'assenza di pathos espressionista. Godibilità non richiama solo il divertimento per i bei colori, per gli accostamenti piacevoli o per la provvida distribuzione dei toni: sono tasselli che gridano non seguendo l'urlo di Munch o il rivissuto attoriale dell'Actor Studio. Gridano perché richiamano a quella costante del sentire la storia che si distanzia, che prende visione mettendo tra parentesi l'immediatezza del gesto o la tragicità del dripping di Pollock. Hanno un loro spazio i tasselli di Silvio: uno spazio che reclama l'ascolto e che non teme d'appartenere all'officina dei nomi già citati. Sono amici e maestri di pellegrinaggio.
Franco Patruno
(direttore dell'Istituto di cultura "Casa G. Cini" di Ferrara)