Senza voler mettere in crisi i massimi sistemi su cui poggia il mondo e il mondo dell'arte in specie, ma - pourquoi-pas - per capire meglio "che - cosa - è - l'arte", a fronte delle composizioni di Silvio Natali occorre proporsi subito innumeri domande, tutte portanti ad una uguale conclusione (che farebbe felice l'autore dell'opera da cui abbiamo tratto il titolo di questa presentazione): una definizione del termine arte non potrà mai essere data. L'arte è destinata a rimanere senza "ragione sociale", talmente essendo elusivo, speculare, complessivo, sfuggente, ineffabilmente concreto e concretamente ineffabile il concetto, al punto che uno, nessuno, centomila, possono essere i motivi a favore o contro il segno e il colore di un artista. Prendiamo, è proprio il caso, Silvio Natali. Silvio Natali, area culturale dell'Italia centrale, Corridonia, le Marche interne, è da considerarsi un profondo espressore mediale. Tradotto in italiano significa che i suoi segni e i suoi colori, le segnazioni e le forme, le sue ideazioni grafiche e i suoi acrilici (tecnica con la quale di norma si esprime), sono derivati da una innata insorgenza narrativa che - grazie alla certosina tensione ad esprimere e ad esprimersi coi segni - assurge a mediante artistico totale. Attenzione, qui sorgono nell'osservatore delle domandi capitali, che potrebbero apparire melliflue e capziose e che melliflue e capziose non sono: il segno artistico di Silvio Natali è lavoro architettonico portato alle alte sfere della poesia grafica? È illustrazione arricchita del valore aggiunto di una straordinaria predilezione per il filamento segnico? È incontenibile, e forse inconscia, attrazione per essenzializzazioni scenariali, da teatro vitale, da proscenio esistenziale dove - appunto - far muovere uno, nessuno, centomila protagonisti di una recita a soggetto? Di queste domande, si nutre la vexata quaestio, che chiaramente è presente in ben altri contesti (basti pensare alle molteplici "Piazze d'Italia" di de Chirico, a Franco Gentilini, a Orfeo Tamburi, ma anche alla serie dei "Senza titolo" di un Mimmo Paladino degli anni Ottanta), della tentazione scenografica latente o patente, che attrae l'artista, pur degno di "segno puro", come direbbe Lionello Venturi, storico indimenticato delle arti belle. Ma il caso Natali, che di caso trattasi, non fomenta solo questi puntuali interrogativi, sui quali, ad onor del vero, la storia delle arti visive si è di già pronunciata, promuovendo i "teatranti" agli altari dell'immortalità. Il fare arte di Natali pone il fruitore di fronte a ben altre inquietanze. L'artista maceratese è, senza alcuna ombra di dubbio, un impressionante, ancorché anomalo aedo di narrative-art, che annette alle sue opere una componente, come dire?, di evidente, incombente, essenzializzata descrittività del contesto pittorico. Tanto da far avanzare l'ipotesi, sempre più addotta da fondati teoremi, di una supremazia grafica nell'ideazione e nel linguaggio (dunque nello stile), rispetto alla caduca, cangiante, sempre provvisoria storia del colore negli uomini. Per dirla con Milan Kundera, i colori sono leggeri nell'essere. Solo il segno è solenne. E qui, forte di queste convinzioni, il fruitore potrà a sua volta leggere queste opere come in una sedimentazione geologica degli accadimenti, dove la meta non dichiarata, ma mirabilmente ottenuta, è di creare meraviglia. L'artista gioca (verbo in accezione francofona) con infiniti ceselli grafici, lasciando che il filamento si presti "come sposo alla tela", direbbe il Giorgio Vasari, in una combinazione tematica di uno, dieci, cento assetti narrativi. Possiamo distinguere, pur nell'immane lavoro svolto dall'artista in questi anni, tra paesaggio "abitato" e composizioni dove è assente il vociare muto degli assembramenti, come "Acque inquiete", del 2002; ovvero "Odore di mare e di caffè", "Luce sorgente" ,2005; e molti altri testi. Qui è dato vedere finalmente il lato relazionale segno-colore-ambiente, avulso dalla presenza dell'uomo, ed è qui che Silvio Natali assurge a vere e proprie soluzioni di unicità, dove la complementarietà tonale è ai limiti dell'azzardo, eppure di grande effetto scenico. Ed è davvero meravigliante seguire e inseguire il reticolo arterioso delle sue modulazioni, ora lasciate emergere secondo una, nessuna, centomila ortogonie, ora incastonate su prospettive impossibili, ora attraversate in sezione, ora assecondate nella sinuosità del "teatro" narrativo. Basti pensare a "Isole" o a "E verso sera, nuvole calme... " due composizioni brevilinee, che fanno il paio con "Cartolina", che insieme a "Il cavallo di Troia" e "A perdita d'occhio", due 70x100 del 2005, possono considerarsi la summa tecnico-espressiva dell'artista marchigiano. Nel suo "fare" arte Silvio Natali affronta un tema semantico, simbologico, dove l'incombenza tematica è lasciata a questa "massa individuale", sempre ricorrente, quasi ad assediare i labirinti e gli abituri e le case e i grattacieli. Succede che nei telai, quasi sempre estesi in larghezza, molto sovente di grandi dimensioni, la gestione degli eventi sulla tela non è lasciata al libero arbitrio dell'attore (letteralmente, chi compie l'atto di dipingere), ma è ispirata, se non "costretta" dalla massa di gente che ne affolla la superficie, con lineazioni somatiche portate ad una incisione di sintesi, eppure... absit iniuria verbis, di fedeltà individuale accertata. Ogni persona è lì, nel suo naturale comportarsi collettivo, alla manifestazione continua che è la vita.
Donat Conenna