L'inutile attesa di Jennifer

C'è in Silvio Natali la necessità di riscrivere in grafia visuale le vicissitudini di un mondo gremito da una massa di replicanti inespressivi. Non sono apparizioni, ma presenze concrete che incombono su un quotidiano antiutopico, raccontato da un Gulliver moderno e del tutto disilluso sulle sorti progressive dell'umanità. La sua tecnica, che definirei in punta di penna, è il veicolo coerente di una rappresentazione esasperata dove prevale la frustrazione e l'horror vacui, ma dove colpisce la sicurezza di una scrittura segnica che si avvicina alla solidità di una xilografia, definendo senza sfumature e con tratti scuri le tracce del colore in un mosaico aggrovigliato e inquietante. Le figure si appiattiscono in uno spazio compresso, intrecciando un racconto surreale che non si presta a equivoci interpretativi, teso come è a mostrare, a volte persino con una vena di irridente sarcasmo, il lato oscuro del nostro vivere. Ricorre l'immagine di una folla che si concentra in tempi e in luoghi che appartengono alla cronaca e alla storia: che sia una schiera di guerrieri antichi con corazza e alabarda in Gli invasori del 2008, o un fitta aggregazione contemporanea in attesa di un evento, come è il caso di Giubileo 2000, tutti questi personaggi hanno in comune il fatto di essere ripresi di spalle o senza volto, inseriti in uno spazio aprospettico di complessa decifrazione. Sono un chiaro riferimento all'anonimato delle masse, e anche a un dramma esistenziale non risolto, ma minutamente descritto nella sua inquietante apparenza. Se da una parte troviamo l'artista che compila, nello spazio che si è prefisso, il catalogo di un'umanità presentata come un agglomerato di tasselli indistinguibili - ne è esempio eloquente il pezzo particolarmente intenso titolato L'ultimo baluardo del 2005 - va anche osservato con attenzione il suo punto di vista di osservatore del paesaggio; urbano o naturale che sia, popolato o meno di uomini, ma sempre contrassegnato da una grafia fortemente rimarcata, che costringe il colore a combinarsi in frammenti disposti come pezzi di un puzzle) non c'è quindi espansione spaziale, ma solo effetti falsamente prospettici, dove sussiste soprattutto l'alto e il basso e, in alcuni casi, lo sdoppiamento fra i primi e i secondi piani in vedute comunque immobilizzate e artefatte, come nel lavoro Di buon'ora del 2006, che comunica un senso di solitudine acuta, a causa del bianco e nero che caratterizza il boschetto che nasconde in parte il panorama sullo sfondo. Sono città fitte di case, come La Piazza era deserta... del 2006, o agglomerati asfittici di costruzioni immaginose, anche se colorati gioiosamente, come in Sono arrivati i saltimbanchi del 2002; sono cieli, pianure e marine, dove il colore si esercita nel virtuosismo dei contrasti, rappresentazioni arcane di un altrove ricostruito nella memoria, come accade per Terre Lontane del 2006, o per lo struggente campo fiorito di Era caldo del 2008. Più rare, ma prepotenti come impatto psicologico, sono ancora le raffigurazioni definibili, anche se solo alla lontana, come ritratti: personaggi con volti frantumati dall'incrocio lineare e cromatico che ne percorre i tratti, ma intensamente espressivi, anche quando non hanno viso come La modella del 1999, in quanto psicologicamente segnati da deformazioni somatiche che sembrano uscite da una classificazione lombrosiana. Non rappresentano nessuno, o meglio, sono dei nessuno come se ne vedono tanti, davanti a La partita alla tv del 1999, o nella Sala d'aspetto del 2004, uniti dalla stessa espressione di accanimento tifoso o di stuporosa fissità. Ma sono anche presenti le figure ieratiche e pietrose del potere, la cui espressività pomposamente minacciosa si affida al profilo di un elmo, a una barba, o a una chioma cespugliosa, ma soprattutto a una postura inevitabilmente statuaria, come nel caso di Il re è triste del 2006. L'universo di Natali è, in definitiva, immerso in una galassia senza tempo, e popolato da un'umanità che ha perso la consapevolezza del vivere, opaca non solo alla gioia ma anche al dolore, indifferente e incapace di agire, quindi dannata senza riscatto nel girone infernale dell'accidia.

Paolo Levi